LEOPOLDO E MAGGIORINO, ARTIGIANI DELLE ERBE PALUSTRI

Il Padule di Fucecchio non è fatto solo di paesaggi, piante e animali rari, ma anche di storie e tradizioni: dalle vicende legate alle grandi famiglie dei Medici e dei Lorena alle attività degli uomini che fino ai nostri giorni hanno vissuto il Padule e le sue risorse.

Per questo vogliamo concludere l’anno ricordando Leopoldo Cecchi e Maggiorino Papini, due fra gli ultimi artigiani delle erbe palustri, che sono scomparsi nel giro di pochi mesi lasciando un vuoto incolmabile di memorie ed esperienze del Padule.

Personaggi diversi e a loro modo unici, entrambi collaboravano con il Centro di Ricerca, ed erano fra i protagonisti della Festa delle Erbe Palustri ma anche degli incontri sull’intreccio ed impagliatura organizzati con gli adulti e con le classi scolastiche.

Oltre a tante immagini, ci hanno lasciato lunghe interviste raccolte dal Centro e parzialmente pubblicate alcuni anni fa nel libro “Uomini del Padule”; grazie a queste interviste, li possiamo oggi ricordare attraverso le loro stesse testimonianze.

Leopoldo Cecchi, classe 1920, era specializzato nel “rinvestire” le sedie con il “sarello”, una delle più caratteristiche piante palustri; era nato in una famiglia dove “si lavorava da contadini e poi quando arrivava l’estate, per farsi una camicia s’andava in Padule a lavorare al sarello” ed aveva imparato a fare le seggiole da uno zio e osservando gli altri “sarellai” che venivano da fuori.

Un’arte, quella di impagliare le sedie, che Leopoldo tramandava con grande passione, sempre pronto a condividere le proprie conoscenze con tutti gli interessati, e al tempo stesso con l’umiltà di chi ha sempre qualcosa di nuovo da imparare.

D’altra parte, come diceva, a tanti “gli garberebbe rinvestì le sedie ma si credano che rinvestì una seggiola sia un lampo, come mangià un gelato”; bastava vedere la qualità delle sedie impagliate da Leopoldo per capire quanto avesse ragione.

Maggiorino Papini, classe 1926, intrecciava cesti utilizzando salici, “gaggìe” ed altri arbusti che crescono ai margini della palude; anche lui figlio di contadini, aveva imparato da uno zio a fare ceste e panieri da ragazzo, negli anni trenta, quando i vivaisti venivano a prendere al Cintolese le ceste di salice per invasare, e non aveva mai smesso, neppure quando lavorava in cava.

Istrionico e sempre pronto alla battuta, Maggiorino mentre lavorava era un fiume in piena, ritenendo che chi lo osservava dovesse essere reso partecipe non soltanto delle tecniche di intreccio, ma anche della sua personale visione del mondo.

“Io penso che ci sia dei lavori che siano peggio – sosteneva Maggiorino - dicevano che il peggio era il padule, ma per l’aria, per la respirazione dell’aria e per tutto, era troppo meglio, ora t’infilano in una fabbrica, tu stai lì par che tu sia un robotte”.

Con la morte di Leopoldo e Maggiorino abbiamo perso molto, ma la loro grandezza sta anche nell’essere riusciti, negli ultimi anni, a trasmettere le proprie esperienze ad alcuni allievi che per fortuna potranno tramandare nel tempo l’arte delle erbe palustri.